L’introduzione del credito/debito con l’O.M. 92/17 del 5/11/17 del Ministro G. Fioroni (che come è noto, eliminò gli Esami di settembre di riparazione D.M. 80/17, con i cosiddetti “rimandati a settembre”) creò un’emergenza didattica e gestionale senza precedenti. Questa ordinanza generò un fronte d’onda di migliaia di debiti agli scrutini di giugno di ogni scuola, con una statistica di oltre tre debiti ad alunno che su una massa studentesca di circa 1000 studenti equivaleva alla sospensione di giudizio di oltre 3000 debiti. Il numero per studenti di una classe per una materia (sorvolando sul fatto che ogni materia ha programmi diversi per classi diverse e per articolazioni diverse) non poteva superare una soglia di 15/20 persone e il corso di recupero doveva essere di almeno 15 ore al costo docente di cinquanta euro l’ora. Risultato? Assumendo (e così non era) che fossero solo, sempre e solamente, 3 materie quelle interessate dal recupero sarebbero stati 150 corsi per almeno 15 ore a corso con un totale di 37.500 euro a scuola. Ma, come è facilmente intuibile, era molto di più. Si pensi, ad esempio, che in un Tecnico le materie scientifiche e di indirizzo sono molte e che quindi la statistica dei debiti era decisamente superiore ai numeri qui riportati. Il finanziamento alle scuole non è mai stato di questi importi e le scuole non erano e non sono in grado di sostenerne i costi. Non poteva funzionare. E’ il solito problema generato da chi non conosce la scuola. Molte scuole fecero buon viso a cattivo gioco e cominciarono ad eliminare i debiti, promuovendo. L’ordinanza prevedeva pure l’obbligo di sanare i debiti entro l’agosto dell’anno scolastico in corso ma solamente pochissime scuole hanno rispettato la direttiva, la maggior parte di loro traslò e ha, comunque, tuttora, “deliberato” la verifica dei debiti a settembre (in barba ad ogni controllo ministeriale, che non ci fu e non c’è), riproducendo una seconda versione degli esami di settembre. Insomma un gioco all’italiana.
L’ITIS Giovanni XXIII, naturalmente, non affrontò la questione in questo modo, s’impegnò, invece, nella ricerca di una soluzione praticabile e dignitosa sul versante didattico, al fine di individuare un eventuale e possibile vantaggio per gli apprendimenti (qualora naturalmente ci fosse, ma come vedremo la ricerca didattica è foriera di gradi novità e sorprese).
Proponemmo, innanzitutto, l’individuazione e la definizione di una soglia per la non ammissione all’anno successivo (e, contestualmente, una soglia dei requisiti minimi per non essere considerati analfabeti). Riconoscemmo la profonda differenza tra il definire “contenuti minimi” di un programma di studi ed, invece, definire i requisiti minimi per non essere alfabeti. Il problema dell’analfabetismo, oggi, è divenuto tanto palese quanto gravoso per l’istruzione e, soprattutto, per la società .
In questo modo, divenne altrettanto essenziale distinguere e definire una soglia per le eccellenze che ormai erano (e sono) appiattite verso il basso perché non sostenute, o non differenziate, come punti di forza di un sistema. La grande confusione su questo tema così delicato è conseguenza della forza comunicativa tipica e propria del ruolo svolto dal concetto di ‘talento’ nell’immaginazione pubblica. Tant’è vero che sono previste forme di premialità
specifiche solo per chi conquista la vetta più alta degli Esami di Stato, cioè la “lode”. Eppure, anche in quest’ultimo caso, ci sono incongruenze e paradossi tipicamente dimostrate da casi eclatanti come quello di chi vince le olimpiadi nazionali (ad esempio, di matematica o il ‘-day’) e non può accedere alla “lode” per il mancato perfezionamento del massimo dei crediti scolastici. Quindi, talento contro eccellenza. Uno scontro inutile e deleterio, senza vinti e vincitori, anche se apparentemente sembrerebbe vincere il talento (sempre per l’immaginazione pubblica). L’eccellenza ha bisogno di essere strutturata in un piano di lavoro che le consenta di emergere e essere parte di una scoperta e di uno scoprirsi. Inoltre, l’eccellenza deve essere protetta dalla minaccia della mediocrità ed, invece, essere favorita affinché possa svilupparsi e diffondersi, affinché possa essere per tutti gli altri studenti in crescita un anticorpo alla stasi, all’analfabetismo dilagante. L’eccellenza è costituita da tutti coloro che regolarmente, con impegno e intensità quotidiana, scavano e indagano tra le conoscenze alla ricerca delle proprie capacità ed abilità, partecipano e collaborano alla scoperta del risultato, faticano e crescono per raggiungere gli obiettivi. Tutti costoro, anche se non dotati di un talento, sono le vere e grandi eccellenze perché contribuiscono più di ogni altro all’apprendimento proprio e quello degli altri.
Il Modello a shell è, quindi, servito ad introdurre delle aree di competenza rispetto alle quali definire delle soglie per comprendere come procedere con la decisione. Il Core era costituito dai “contenuti minimi, essenziali, di base, degli “assi culturali” per la certificazione dell’obbligo, ma anche per tutti gli anni di studio successivi. I contenuti minimi sono stati elaborati e individuati per ogni anno del curricolo di ogni indirizzo (quindi, non solo per il biennio) risolvendo alcune incongruenze manifeste negli “assi culturali”. I contenuti del “core” sono quei contenuti che occorre possedere per non essere considerati analfabeti e quelli della shell esterna per la creatività e l’eccellenza. La shell interna era deputata ad affrontare i problemi di crescita con le diverse difficoltà di apprendimento disciplinari e si proponeva di superarli anche attraverso diverse forme di didattica interdisciplinare, avvicinano lo studio alla realtà che ci circonda (come ad esempio i compiti di realtà). In questa fase eravamo convinti della bontà dei compiti di realtà e non avevamo ancora considerato il multiprospettivismo (Gardner).
Il sistema di valutazione aveva così un riferimento preciso. Potevamo introdurre criteri e modalità per assegnare i debiti e valutare il percorso più opportuno per “ripagarli”.
Chiunque avesse insufficienze gravi sul “core” aveva due opzioni: la non ammissione all’anno successivo o il corso di recupero. Chi avesse una insufficienza lieve sul “core” doveva essere ammesso all’anno successivo ed era indicato per uno studio individuale con il supporto di uno studio assistito. Chi avesse una insufficienza grave sulla “shell interna” non poteva essere non ammesso all’anno successivo ma doveva avere un percorso di studio individualizzato, e a maggior ragione chi avesse un’insufficienza lieve sulla “shell interna”. Un’attenzione particolare si sarebbe dovuta avere per le medie e i crediti scolastici assegnati a chi fosse considerato nella “shell esterna”. In questo modo potemmo affrontare il fronte d’onda delle “sospensioni del giudizio” e definire una serie di filtri.
Abbiamo lavorato per anni sulla programmazione didattica al fine di costruire sistemi sempre più efficaci nella definizione dei contenuti. Il Modello a Shell fu il nostro strumento principe.
La prima progettazione modulare per il Modello a Shell fu elaborata da ogni docente per ogni disciplina già dieci anni fa. Il programma disciplinare doveva essere progettato rispettando le tre aree di competenza individuate dalle tre shell. Questo consentì ad ogni docente di ogni classe e di ogni disciplina, per ogni anno di studio dalla prima alla quinta classe, di produrre un programma disciplinare diviso in moduli per ogni area del Modello.
I contenuti del “core”, strutturato nei moduli essenziali e necessari alla promozione all’anno successivo, erano il riferimento obbligato per il docente nella determinazione dell’eventuale debito e, nel caso del corso di recupero, si sarebbe potuto presto individuare quali moduli assegnare per il corso.
Il Modello di Programmazione fu sviluppato con il “Il cannocchiale di Galileo” di INDIRE nel 2012/13 per la sperimentazione avviata in seguito al riordino dell’istruzione tecnica. Presentammo, in questa occasione, il progetto dal titolo “Il Paradosso di Hawking” . Avevamo già lavorato da tempo sull’integrazione disciplinare ed avevamo scavato sulla complessità del problema dell’interdisciplinarità. Eravamo convinti che l’interdisciplinarità doveva essere introdotta nella programmazione didattica delle singole discipline con agganci e correlazioni individuate, prima, dai Dipartimenti e, poi, dai rispettivi Consigli di classe. Quindi, l’interdisciplinarità era concepita come “relazioni tra discipline”, relazioni irriducibili, relazioni essenziali, pur lasciando ad ogni disciplina la sua specifica identità. Un esempio può essere la molecola d’acqua. La molecola d’acqua è un composto chimico che esiste in virtù delle interazioni elettriche tra i suoi componenti atomici (ionici). Pertanto, la Chimica e la Fisica nella molecola d’acqua sono indissolubili nella “spiegazione” del composto, ciononostante queste relazioni non interferiscono con l’identità delle singole discipline. Infatti, la Fisica insegna il comportamento dell’acqua nei cambiamenti di stato della termodinamica e la Chimica insegna, invece, i legami chimici presenti nella molecola dell’acqua. L’acqua è un tipico tema della disciplina oggi nota come Chimica-Fisica. Nel progetto ogni disciplina doveva individuare i temi “ibridi”. Questi temi ‘ibridi’ sarebbero stati inseriti nella progettazione della Shell Interna.
L’interdisciplinarità apre il fianco ad un altro tema decisivo, oggi come oggi: la didattica digitale. Contestualmente, infatti, un’altra linea di ricerca del nostro team era, appunto, la didattica digitale. La didattica digitale è trasversale a tutte le discipline perché introduce il “discreto” come concetto di base in tutte le “spiegazioni”. Ogni problema formulato nel continuo che abbia almeno una soluzione, com’è noto, ha innumerevoli soluzioni nel discreto. In questo senso, la didattica digitale è strettamente connessa con l’informatica, anche se per avere una visione strategica, in tale senso, occorre avere una capacità particolare, e cioè quella di guardare all’informatica con la mente di un matematico o di un fisico. Noi riteniamo che questo imprinting è all’origine anche di una epistemologia della didattica digitale .
L'ingresso dei nativi digitali alle superiori rappresentava, dunque, l'arrivo di un'onda anomala per il sistema degli apprendimenti . Per la prima volta, cominciavamo a parlare di “apprendimento digitale”, pur non avendo per esso una definizione rigorosa. Lo scopo del progetto era quello di studiare un sistema di apprendimenti adatto alla nuova "specie antropomorfa" rivisitando metodi e contenuti disciplinari sia di base, sia tecnico-scientifiche, culturali generali e trasversali. Agimmo su una singola classe di nativi digitali introducendo nuovi organizzatori concettuali e descrittori dell'apprendimento, elaborando una piattaforma digitale sulla quale interagire per stabilire le nuove sinapsi della laboratorialità. La didattica laboratoriale e la didattica per competenze furono pensate sulla linea di una didattica orientativa basata sulla didattica digitale (che, però, in questa prima fase, era ridotta semplicemente alla didattica con l’uso esclusivo della tecnologia digitale) in termini di valutazione degli apprendimenti e di autovalutazione di sistema . E’ importante sottolineare l’uso esclusivo della tecnologia digitale. Decidemmo insieme a tutte le famiglie di questa classe sperimentale di eliminare i libri di testo ed utilizzare solo materiali esclusivamente digitali.
Tra le finalità stabilimmo quella di misurare il senso di appartenenza al contesto, misurare gli apprendimenti e confrontarli con quelli paralleli e tradizionali (attuali programmi di una o più “classi di controllo”), misurare la flessibilità delle competenze acquisite e rilevare la capacità di orientamento alla scelta di una specializzazione (la scelta del triennio superiore).
Comunque, questa scelta presentava, già sin dall’inizio, problemi complessi. La didattica digitale era, ed è, ben diversa dalla didattica ordinaria e la sua impostazione è legata indissolubilmente, nel bene e nel male, allo strumento tecnologico e all’ambiente digitale scelto (internet, il cloud, la piattaforma, …), di per se stesso ricco di limiti e vincoli (spazio, strumenti di gestione, vincoli nella comunicazione…). Inoltre, la didattica digitale era complicata dalla sua incompatibilità con i vecchi programmi ministeriali, mentre si muove con più flessibilità tra le maglie delle Indicazioni nazionali. Ciononostante, i nuovi supporti metodologici (quelli digitali, appunto) mostravano, con più evidenza, i limiti del vecchio modo di pensare la didattica e la necessità, quindi, di cambiare gli organizzatori concettuali della nuova didattica. Gli apprendimenti erano e sono “parziali”, o inefficaci, perché non rispondono più alla realtà che ci circonda e le nuove generazioni non trovano nelle nozioni ‘classiche’ lo strumento idoneo alla costruzione dei nuovi percorsi didattici.
Proprio per queste ragioni, abbiamo rivisitato gli organizzatori concettuali ‘classici’, elaborandone dei nuovi, abbiamo introdotto commutatori epistemologici calibrati su nuovi
descrittori degli apprendimenti e tra i risultati attesi abbiamo considerato la padronanza dello strumento concettuale, la flessibilità e autonomia nell'applicazione del concetto, l’individuazione del concetto nella comprensione della vita quotidiana e la consapevolezza dell'uso concettuale dinanzi a problemi mai affrontati prima.
In continuità con il lavoro del § precedente, abbiamo lavorato, quindi, sulla programmazione didattica, per costruire sistemi sempre più efficaci. Il Modello a Shell fu il nostro strumento principe, anche in questo progetto.
Ogni docente di ogni classe e di ogni disciplina, per ogni anno di studio dalla prima alla quinta classe, doveva produrre un programma disciplinare diviso in moduli per ogni area del Modello. Dopodiché, per la ‘shell interna’ avrebbe dovuto indicare i temi di sviluppo disciplinare con le correlazioni ‘indissolubili’ interdisciplinari, i temi “ibridi”.
È seguita una sistematica programmazione didattica frutto della progettazione per aree del Modello, articolata in azioni disciplinari, azioni interdisciplinari e azioni di integrazione disciplinare. Le azioni interdisciplinari miravano a mostrare la necessità inderogabile dell’uso di più discipline per comprendere il fenomeno (il sistema, l’oggetto, il meccanismo…). Le azioni di integrazione disciplinare miravano a cercare ed individuare (in termini di ricerca pura) alcuni concetti primitivi (o meta-concetti) intrinsecamente comuni alle più diverse discipline.
Il Modello di integrazione disciplinare fu presentato ufficialmente con il progetto “La Scienza in un guscio di noce” presentato in occasione delle candidature per i finanziamenti della L. 6/2000 finalizzati alla diffusione della cultura scientifica e tecnologica nel nella tornata del 2014 (L. 113/91 del 01/07/2014). Questo progetto non fu finanziato. Avemmo però occasione di svilupparlo con il Progetto nazionale Myxbook. In questo progetto nazionale lavorammo con molte scuole protagoniste delle attività coordinate dal Comitato nazionale per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica. L’ITIS Giovanni XXIII lavorò a braccio con il “Telesi@” di Benevento, con il “Sarrocchi” di Siena, con il “G. Cesare” di Roma, con l’ “Aristofane” di Roma, con l’ “Alfano II” di Salerno, con “Terre di Lavoro” di Caserta (e tante altre). Lo scopo del progetto era quello di creare un ebook dai contenuti organizzati che avesse una impostazione didattica centrata sulla laboratorialità .
La matematica, la Fisica, la Chimica e la Biologia, limitandoci ai contenuti “essenziali”, venivano ricostruite con l’uso di organizzatori concettuali, tratti dalla stessa storia di queste stesse discipline, per costruire un modello di didattica orientato agli apprendimenti del nativo digitale.
Steven Hawking nel “L’Universo in un guscio di noce” cercò di sintetizzare, con un linguaggio divulgativo, gli elementi essenziali della teoria della relatività di un buco nero. Fece un’operazione di grande attualità sfruttando l’uso delle immagini. Il potere delle immagini è tuttora considerato un mezzo di comunicazione efficace delle scienze, e forse, diciamo noi, un po’ esageratamente. Nonostante il suo eccellente tentativo, infatti, la Scienza e la Tecnologia restano, tuttora, “fuori portata”, rispetto all’apprendimento perché lontane dalle necessità della didattica, quest’ultima al centro di una vera e propria scienza della comunicazione che non può prescindere dall’istruzione delle discipline. In questo progetto ci si poneva come obiettivo quello di porre la Scienza al centro della comunicazione, avendo ben presenti il punto di partenza ed il punto di arrivo del percorso. Il punto di partenza era la Scienza nell’istruzione e la didattica; il punto di arrivo era l’apprendimento dei giovani d’oggi – notoriamente nativi digitali ed il loro modo di accogliere le tecnologie e le scienze. Per ottenere questo risultato occorreva “riscrivere la didattica”, introducendo quella che abbiamo chiamato “didattica digitale”, cioè tenendo conto dei descrittori della natura dei nuovi apprendimenti dei nativi digitali (vedi § precedente).
Il progetto proposto voleva, innanzitutto, cambiare la relazione tra “persona” e “conoscenza”, nella consapevolezza di dover ristabilire, in termini di efficacia e qualità dei risultati, il dialogo tra studenti, scuola e società, strutturandosi in percorsi basati sulla ricerca/azione attraverso e mediante le tecnologie digitali.
Pertanto, il progetto promuoveva sinergicamente lo sviluppo di nuove competenze nei docenti rispetto al digitale e alle potenzialità di una didattica su di esso innestata; riconduceva gli studenti al centro del processo formativo, assegnando loro un ruolo propositivo nella costruzione delle conoscenze; coinvolgeva le famiglie affinché siano in grado di condividere il processo stesso; apre, infine, attraverso la rete, le pareti della scuola alla comunità per offrire e per cogliere esperienze di continua crescita e miglioramento, in una dimensione sovratemporale. Il progetto, quindi, proprio al fine di risolvere il conflitto fra i nuovi metodi di apprendimento della generazione digitale e i vecchi contenuti, si poneva e si pone come obiettivo la ‘riscoperta’, in termini epistemologici, di ‘nuovi’ organizzatori concettuali del sapere per una didattica laboratoriale e delle competenze. Nasce così la didattica digitale, come approccio alla riscrittura di canovacci e trame della Scienza, il cui obiettivo principale è l’apprendimento dei nativi digitali, più volte descritti come antropologicamente diversi.
Con il presente lavoro ci si propone pertanto di intervenire proprio su questo aspetto del problema, un problema che riguarda tutto l’universo della formazione, il cui prodotto viene troppo spesso penalizzato e vanificato da tale disallineamento.
Ci si prefigge, perciò, di creare un ambiente di apprendimento idoneo per tale target di studenti, esaltando proprio le loro abilità e le loro competenze specifiche, derivanti dall’ “immersione precoce” in un habitat assolutamente diverso dai precedenti. Il fulcro di questo ambiente di interdisciplinarietà o prossimità di discipline è costituito dalla categoria logica “superiore” degli organizzatori concettuali. Gli organizzatori concettuali , opportunamente scelti per gli obiettivi che ci siamo posti, che spontaneamente emergono dalla storia della scienza di tutti i tempi e, particolarmente, da quella degli ultimi due secoli, sono stati i seguenti:
• Il concetto di Invarianza (e covarianza): il valore di un numero (o la forma di un oggetto) resta costante (sempre lo/la stesso/a) rispetto ad un cambiamento (una trasformazione qualunque). Questo concetto è correlato al concetto di simmetria per l’invarianza rispetto ad una trasformazione. Più in generale, il concetto di invarianza assume un significato universale con la definizione delle costanti di Natura.
• Il concetto di Simmetria: invarianza di un numero (o covarianza della forma) rispetto a trasformazioni nello spazio.
• Il concetto di Conservazione: invarianza di un numero (o covarianza della forma) rispetto a trasformazioni nel tempo.
• Il concetto di Equilibrio (generale): quando la simmetria e la conservazione coesistono. Esistono i casi particolari dell’equilibrio statico e dell’equilibrio dinamico.
Trasversalmente a questi meta-concetti dominanti, introducemmo anche un concetto trasversale e metodologicamente importante nella storia delle scienze come “modello di ragionamento”: il concetto di linearità. Le impostazioni del ragionamento lineare (es. della dinamica classica) e del ragionamento “non lineare” (es. dei problemi complessi) sono aspetti del ‘ragionamento’ essenziali nella didattica e nella costruzione degli apprendimenti. Il concetto di linearità nel ragionamento lineare può essere ben correlato al principio di causa-effetto.
L'ingresso dei nativi digitali nella scuola secondaria di secondo grado, abbiamo detto, hanno rappresentato l'arrivo di un'onda anomala per il sistema degli apprendimenti di tutta la società civile. Nei primi mesi, alla luce delle indicazioni di massima sugli organizzatori concettuali, i ragazzi, hanno lavorato in gruppi distinti, accumulando, nella maniera più disparata, materiali, anche oltre le sitografie di base fornite dai singoli docenti, filtrandoli nell’ottica degli organizzatori concettuali. Successivamente, anche per mezzo di lavori in team, sono stati filtrati dati ed elementi in modo tale che alla fine sono rimasti soltanto quelli che sono stati validati dai docenti delle singole discipline attraverso una valutazione collegiale. Questa attività è stata condotta con l’uso di web application quali Padlet o similari. Nei restanti ultimi mesi di lavoro, una volta rintracciati gli elementi portanti, su cui si erano sviluppati gli organizzatori concettuali, essi sono stati inseriti su un’apposita piattaforma e collocati sul cloud dell’istituto, secondo le modalità di un progetto wiki. Quindi, tale progetto è rimasto necessariamente aperto a successive implementazioni, opportunamente vigilate.
La rivoluzione metodologico-didattica proposta non poteva non avvalersi anche di un nuovo impianto comunicativo: al di là della tradizionale comunicazione unidirezionale, si lasciavano emergere in maniera spontanea, i risultati delle libere ricerche dei ragazzi, sfruttando in ciò le potenzialità del metodo di insegnamento della “Flipped classroom”, attraverso la quale gli studenti navigano in rete per approfondire un tema, fare ricerca, confrontare le fonti e poi discutere insieme dei risultati raggiunti, sempre in gruppo, aggiornando i documenti condivisi in modalità «wiki», poiché ognuno contribuisce a scrivere un brano della ricerca, come succede su Wikipedia.
Il metodo di insegnamento della “Classe capovolta” , stravolge anche le modalità di verifica e di valutazione diffuse in ambiente scolastico, “capovolgendo la classe», ricorrendo meno alle lezioni frontali, valutando in forme alternative a quelle delle interrogazioni e usando tutte le risorse disponibili in rete. La classe capovolta costituisce un contributo essenziale per rinnovare l’attività ordinaria di apprendimento e uno strumento concreto, per motivare, incuriosire, appassionare all’ascolto tutti i “nativi digitali”, per individualizzare il processo di insegnamento-apprendimento, per sostituire, almeno in parte, lo studio passivo e mnemonico, con la libera ricerca di epistemi tratti da siti e fonti proposti dagli insegnanti, dei quali alunni e docenti potrebbero, attraverso un lavoro di rielaborazione ed affinamento, divenirne nuovi autori (e-book).
Anche il ruolo dell’insegnante risulta capovolto: da sterile trasmettitore/ripetitore di contenuti diventa guida dell’'allievo nell'elaborazione attiva e nello sviluppo di compiti complessi.
Una didattica incentrata, dunque, tutta sulle nuove tecnologie: i ragazzi a casa navigano in rete per approfondire un tema, fanno ricerca, confrontano le fonti e in classe si discute tutti insieme dei risultati raggiunti, sempre in gruppo, aggiornando i documenti condivisi in modalità «wiki» poiché ognuno contribuisce a scrivere un brano della ricerca, come succede su Wikipedia, un’ “opera aperta” ed in continua evoluzione.
La prima sperimentazione di didattica laboratoriale digitale, accennata prima, è stata sviluppata sulle LIM nel 2010 da una classe sperimentale che sostituì il libro di testo cartaceo con un device digitale qualunque, seguita dalla realizzazione di un laboratorio digitale dinamico esclusivamente nel cyberspazio, oggi comunemente noto come “cloud”, che trasforma la classe virtuale in “classe digitale” (progetto “Free Fall into Digital” – o FFaDin). Quest’ultimo era costituito da una congiunta collaborazione tra scuola, ragazzi e famiglie. La famiglia diventava parte attiva dell’istruzione (istruzione digitale in cloud) e la laboratorialità era partecipata da tutte quelle componenti della società civile essenziali ad una crescita interattiva del “nativo digitale” con le persone ed il contesto che lo circondava. D’un colpo, si impose un “ambiente di ricerca e di apprendimento” che affrontasse contestualmente e simultaneamente il problema dell’istruzione informale e della sua compatibilità con quella formale, l’istruzione degli adulti, la dealfabetizzazione sociale, i problemi di integrazione “civile” ed interculturali che gravavano (e gravano) sulle famiglie abbandonate a se stesse. Queste problematiche divennero elementi di uno stesso mosaico con i nuovi sistemi di apprendimento digitali i quali, in modo estremamente “naturale”, furono cesellati in una stessa possibile soluzione. Eravamo agli albori di una nuova possibile e radicale ricostruzione dell’alfabetizzazione sociale.
Le azioni progettuali descritte, oltre alle finalità già declinate, miravano al raggiungimento di ulteriori obiettivi, espliciti ed impliciti, che richiamavano a loro volta iniziative, programmi e proposte internazionali. Primo di tutti quello dell’istruzione, che, nell’odierna società della conoscenza , acquista un posto centrale, in quanto ad esso sono collegate le politiche nazionali ed internazionali afferenti al lavoro, all’inclusione, alla cittadinanza attiva.
La cultura scientifica, nel nostro panorama quotidiano, ha riacquistato finalmente una forte valenza dopo essere rimasta per troppo tempo relegata in un ruolo ancillare rispetto a quella troppo genericamente definita umanistica. Rispetto a tale panorama, le tecnologie si situano in una posizione metodologicamente trasversale, ma prioritaria dal punto di vista della formazione e del lavoro : proprio per questo, i maggiori programmi e progetti europei assumono il digital divide come criterio di accesso alla stessa democrazia. La stessa organizzazione scolastica va pensata per essere utilizzata da utenti diversi, con bisogni, conoscenze, stili d’apprendimento differenti, non solo nell’ “età scolastica “ ma per tutta la vita.
L’infrastruttura tecnologica permette di superare l’isolamento spaziale degli edifici dedicati, costruiti come uffici di una burocrazia del sapere trasmesso e insegnato; consente di annullare le distanze geografiche; di apprendere sia nel mondo degli oggetti fisici, sia degli oggetti virtuali, simulando mondi e scenari che possono diventare reali. E’ così che i risultati del nostro lavoro si sono diffusi attraverso riviste online quali Education 2.0 o manifestazioni nazionali quali Experimenta del Comitato per lo Sviluppo della Cultura scientifica e tecnologica. Siamo stati attivi protagonisti anche della piattaforma Myxbook che, per un tempo transitorio, si rivolgeva all’intera utenza italiana ma, anche, a quella straniera attraverso la sperimentazione costruttivista delle CLIL, ed ora portatori del Modello culturale di questo Piano di Ricerca e Formazione.
I nativi digitali, cresciuti in un mondo “ipertestuale” e “interattivo”, apprendono e comunicano attraverso suoni, icone, immagini, post, social , con uno stile veloce e non più lineare. Questa nuova generazione personalizza ciò che impara, lo fa suo, lo riutilizza, lo condivide nel gruppo digitale e lo uniforma ad esso. L’innovatività del progetto si trova nella rivisitazione degli attuali contenuti disciplinari e metodi di divulgazione, che la società di studenti digitale avverte ormai estranei, noiosi e depersonalizzanti. A questi elementi del passato, la società digitale cerca e ricerca soluzioni (e nuovi linguaggi) con la creazione di nuovi organizzatori concettuali del sapere, l’elaborazione di commutatori epistemologici (come l’analogia, le associazioni, le equivalenze, …e tutto il complesso delle trasformazioni e cambiamenti), la costruzione di nuovi ambienti di apprendimento (come la realizzazione di una Tavola sinottica degli apprendimenti per l’integrazione delle discipline scientifiche e tecnologiche, oggetto del prossimo capitolo).
L’innovazione metodologica sta nella problematizzazione dell’azione didattica, che sollecita l’intuizione della specificità di ogni problema, la ricerca della soluzione, l’uso di nuove competenze strumentali e metodologiche acquisite per risolvere quesiti nuovi, lo sviluppo di nuove competenze.
La competenza diventa così un principio organizzatore di tutto il sapere. L’apprendimento di nuove nozioni, ipertestuale e non lineare, diventa un patrimonio che si aggiunge a quello personale, si riutilizza, si condivide, si spende in qualunque contesto (sociale, lavorativo, relazionale, di studio).
Tale approccio gnoseologico rinforza la debole spinta motivazionale che lo studente standard manifesta durante le vecchie ma a volte immarcescibili lezioni frontali. Infatti, tale metodo spiana la strada ad un vero coinvolgimento non lineare creativo avvincente ed al contempo gratificante. È questa la scommessa che gli organizzatori concettuali accettano per un futuro sempre più veloce ed inarrestabile.
Il progetto intendeva migliorare l’apprendimento e la diffusione delle scienze da parte della maggioranza degli studenti e stimolare le eccellenze. L’attività didattica scientifica fu organizzata secondo il modello del problem-solving, e con l’ausilio delle moderne tecnologie, laboratori scientifici e multimediali, lavagne interattive multimediali, e con l’utilizzo di Tablet o I-pad in sostituzione del libro di testo. Il modello fu organizzato su una precisa progettazione modulare iniziale e mirò a mostrare che con la nuova didattica digitale, frutto della armoniosa sinergia tra tecnologie digitali e nuovo modello culturale (dato dall’insieme degli organizzatori concettuali, dei commutatori epistemologici e degli organizzatori cognitivi), era possibile ottenere quei risultati dell’apprendimento tanto ambiti perché invece oggi soffocati dal vecchio impianto epistemologico.
L’integrazione delle scienze riconduce quindi il processo dell’apprendimento verso lo studio della complessità del mondo naturale, definendo nuovi organizzatori concettuali, rivisitando metodi e contenuti disciplinari sia di base che tecnico-scientifici, culturali generali e trasversali, utilizzando apporti provenienti dalla tecnologia e da ulteriori discipline quali la storia, la sociologia, la filosofia, l’epistemologia, la medicina, lo studio dell’ambiente.
Provammo a mostrare quanto potenziati potessero essere gli apprendimenti “nuovi” rispetto alla vecchia impostazione e lo mostrammo attraverso il confronto con una classe di controllo (con la vecchia didattica). La classe sperimentale (senza libri di testo e con il supporto delle tecnologie digitali) si impose su sei classi di controllo con un migliore rendimento sugli apprendimenti e una migliore media sulle eccellenze.
Per le classi coinvolte, le attività didattiche furono costruite, secondo le indicazioni nazionali, definendo i nuclei essenziali e le abilità trasversali connesse alle scienze integrate con il Modello di programmazione del § precedente.
Nel primo periodo scolastico si provvide alla messa a punto del modello organizzativo, alla condivisione dello stesso con studenti e famiglie ed alla introduzione alle nuove tecnologie ed al supporto tecnico- formativo al loro utilizzo.
Fra le attività di divulgazione furono previste la creazione di un sito web dedicato al progetto, oltre che l'inserimento dello stesso nel sito d’Istituto e nei siti di tutti i partner, prevedendo le tre caratteristiche fondamentali per un buon “posizionamento” nei motori di ricerca: qualità dei contenuti, presenza di keyword nel testo e popolarità da link ("Link Popularity"). Tutto al fine di dare ampia visibilità al progetto.
Furono, inoltre, previste conferenze e workshop/seminari con l'obiettivo di coinvolgere gli utenti dell'Istituto e, in particolare, coloro che avrebbero dovuto iscriversi al primo anno della scuola secondaria, in modo che il progetto avesse anche una forte ricaduta sulle attività di orientamento.