Se il computer fossi io

Nome della scuola: 
ITE G.B: Bodoni
Paese: 
Parma
Regione: 
Emilia Romagna
Città: 
Parma
Link al Video di presentazione: 
https://youtu.be/_2BmW0ZM3-k
Descrizione del lavoro educativo innovativo e inclusivo: 
Mi chiamo Nicoletta Rossi e sono un'insegnante di informatica dell'ITE Bodoni di Parma. L'utenza del nostro istituto e' molto eterogenea, sia come provenienza dei ragazzi italiani, che per una percentuale significativa(in qualche classe anche il 70%) di migranti di prima e seconda generazione; molti studenti abitano in provincia, anche in zone di montagna. Questa composizione pone problemi di omogeneizzazione dei livelli di conoscenza e competenza, ma offre la possibilità di «fare la differenza» per ragazzi in condizioni di difficoltà socio economica. L'Informatica, apparentemente una materia facilissima per studenti «nativi digitali», propone ai ragazzi difficoltà date dalla presenza di un attore scomodissimo:l'elaboratore. Si tratta di un attore dal ruolo molto particolare, che parla una lingua fortemente rigida, caratterizzata da un rigore assoluto cui i ragazzi non sono assolutamente abituati. I nostri studenti sono convinti che saper «smanettare» significhi essere in grado di programmare un computer: nulla di più falso! L'abitudine ad un dispositivo che risponde immediatamente, visivamente, ai comandi dell'operatore, inibisce la capacità di immaginare e inventare, abilità indispensabili per programmare. Per risvegliare la capacità di immaginare e trovare soluzioni nuove, fuori dagli schemi, nulla di meglio di uno dei giochi più classici: «facciamo finta che». Questo progetto è stato utilizzato sopratutto nelle classi del triennio del nostro istituto e risponde a due obiettivi: stimolare la creatività ed il rigore. Non si tratta di abilità in contrasto, ma complementari: il rigore permette di realizzare ciò che la creatività ha immaginato. Non occorrono attrezzature costose: per simulare il posizionamento di oggetti sullo schermo basta proporre che un ragazzo fuori dall'aula guidi il compagno all'interno potendo dare solo due comandi: avanti di una mattonella e gira destra di 90°; per simulare la trasmissione di informazioni fra client e server realizzare una teleferica fatta con corda, mollette e cilindretti di cartone, per immaginare un protocollo di comunicazione un naufragio su due isole e la necessità di scambiarsi le coordinate del tesoro, una «running dictation» in palestra per ricostruire il codice di un programma potrà valorizzare sia gli studenti bravi in ginnastica che i «secchioni». Il gioco è anche strumento di inclusione e superamento di stereotipi, infatti il gioco viene visto come attività creativa ed emotiva, esclude stereotipi di genere o di ceto, aiuta ad avvicinare anche studenti che non amano le materie tecnico/scientifiche. Questo approccio costa in termini di tempo sia come preparazione che come realizzazione in classe, ma ne vale comunque la pena poiché si recupera in termini di coinvolgimento, comprensione e risultati scolastici degli studenti. Inoltre i giochi possono essere riutilizzati e condivisi con i colleghi, risparmiando fatica e migliorando in creatività. Questo metodo di insegnamento ha permesso di ottenere risultati notevoli anche con classi molto difficili o eterogenee; i gruppi classe si sono integrati, spesso sono stati rimotivati studenti disamorati dalla materia, e anche il profitto è stato migliore sia nel breve periodo(voti migliori) che nel lungo(migliore capacità di affrontare argomenti successivi). Concludendo, un gioco «unplugged» in una lezione di Informatica, come ha commentato uno dei miei studenti, è «un mito»!
Disciplina/e Insegnata: 
Informatica